Shadowbox Effect
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                                                         La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie.
                                                        John Maynard Keynes
 
                              

Controllo del lavoratore

Unknown | 12:03 | 1 commenti


L'articolo 4 della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori) stabilisce che è fatto divieto all'imprenditore di utilizzare sistemi che consentano il controllo a distanza dell'attività lavorativa dei dipendenti.
Tuttavia è ammessa la possibilità di installare sistemi che abbiano finalità organizzative o produttive (come nel caso dei telefoni digitali, dei computer e dei tesserini magnetici) e che consentano anche il controllo a distanza dei lavoratori, a condizione che venga preventivamente (cioè prima dell'installazione) raggiunto un accordo con le Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA o RSU) circa le modalità di utilizzo di tali apparecchiature. 
In mancanza di accordo con le RSA/RSU, su richiesta del datore di lavoro, deve essere l'Ispettorato provinciale del Lavoro a stabilire le modalità di uso delle apparecchiature di controllo. In assenza di tali definizioni dell'utilizzo dei sistemi di controllo, la loro installazione e il loro utilizzo debbono ritenersi assolutamente illegittimi e contrari alla legge. In tali casi è possibile rivolgersi sia al Giudice del lavoro, sia al giudice penale per chiedere che sia inibito al datore di lavoro di continuare a utilizzare sistemi che consentano il controllo a distanza dei lavoratori.

Gli accordi di regolamentazione di tali sistemi invece debbono essere finalizzati a impedire la individuazione dell'utente. In altre parole, la chiave di accesso al sistema (la cosiddetta password) anziché essere individuale, e consentire il riconoscimento del soggetto, deve essere collettiva (perlomeno per gruppi omogenei di lavoratori) per consentire quindi l'anonimato all'utente e impedire l'attività di controllo che la legge vieta.
Il controllo dei lavoratori da parte delle imprese è diventato talmente intenso e pervasivo da giustificare un ripensamento generale della questione da parte del sindacato. Gli strumenti oggi a disposizione delle aziende per controllare i dipendenti sono infatti numerosissimi e globali. Ciò non sempre significa che il controllo venga concretamente esercitato; significa solo che il datore di lavoro ha a propria disposizione una pluralità di strumenti che gli consentono, ove lo voglia, di sapere tutto, ma proprio tutto, su ogni dipendente, sia sul piano dell’attività lavorativa che sul piano personale. E come è noto, l’art.4 della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori). vieta anche la sola potenzialità del controllo: non si richiede infatti, per la violazione della norma, che il controllo sia effettuato in concreto; per integrare la illiceità e la responsabilità anche penale è sufficiente che le apparecchiature installate in azienda consentano la possibilità di operare il controllo. Del resto ben può accadere che il controllo non sia mai effettuato, ma può anche accadere che venga svolto con continuità, oppure ancora solo quando l’impresa decida di voler avere determinati dati su uno specifico dipendente, o anche quando voglia raccogliere dati su tutti i dipendenti in una certa circostanza (ad esempio in prossimità di un licenziamento collettivo o di una collocazione massiccia in CIGS). E’ insomma irrilevante che il controllo ci sia o meno: tutto ciò che conta ai fini della violazione della norma di legge è che il controllo sia possibile. Esaminiamo allora quali sono gli strumenti a disposizione del datore di lavoro che ricadono nell’area vietata dall’art. 4 (e dall’art. 8 S.L.) della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori).

I COMPUTER: costituisce ormai un dato di comune esperienza il fatto che i computer, che quasi tutti utilizzano sul posto di lavoro, consentono una lettura (in tempo reale o in un momento successivo) di tutto quanto è stato digitato nell’arco dell’intera giornata lavorativa. Dall’analisi dei dati reperibili nel computer di ognuno è possibile risalire all’attività lavorativa svolta, al tempo di lavoro, all’unità di tempo per ogni operazione, e via dicendo. I computer dunque consentono un controllo molto penetrante sull’attività lavorativa svolta da ogni dipendente.
I TELEFONI: allo stesso modo è noto che ormai le centraline telefoniche digitali in uso in tutti gli uffici consentono di ricostruire il traffico telefonico individuale di ognuno nell’arco della giornata. E’ così possibile ricostruire i numeri chiamati, le chiamate ricevute, i tempi di conversazione, e il costo della telefonata. In tal modo è possibile controllare l’attività lavorativa di chi utilizzi il telefono a fini lavorativi e controllare anche le opzioni personali e di frequentazione di chi ne abbia anche la possibilità di uso personale.
LA POSTA ELETTRONICA: chi utilizza una casella di posta elettronica aziendale è soggetto ad un controllo (potenziale) dei soggetti con cui è venuto in contatto via mail e del contenuto delle mail spedite e ricevute. Chi può accedere al server (e quindi ildatore di lavoro o suoi incaricati) può leggere tutto quanto viene trasmesso per posta elettronica. Ne deriva quindi un controllo (sempre potenziale) sia sull’attività lavorativa che sulle opinioni personali.
LA NAVIGAZIONE SU INTERNET: quanto appena detto circa le e mail è estensibile alla navigazione internet. Il controllo sul server aziendale permette di sapere quali siti il dipendente abbia visitato, per quanto tempo si sia trattenuto su ognuno, e quali siano le pagine più frequentate di ogni sito. Anche qui siamo in presenza di un controllo vietato sia sull’attività lavorativa che sulle opinioni personali.
LE TELECAMERE: sono tornati in auge, in questi ultimi anni, i controlli attraverso le telecamere a circuito chiuso, installate per fini di sicurezza aziendale (i c.d. controlli difensivi). In tal modo è così possibile in molti casi controllare non solo l’attività dei dipendenti, ma anche i loro spostamenti all’interno dell’azienda.
I CHIP RFID:numerosissime imprese hanno sostituito in questi ultimi anni i badge dei dipendenti, consegnando loro un nuovo tesserino di riconoscimento non più a banda magnetica, ma al cui interno è invece inserito un chip (RFID) di ridottissime dimensioni che consente di controllare tutti gli spostamenti del dipendente nell’ambito del perimetro aziendale e di sapere quindi per quanto tempo ogni lavoratore si sia recato a bere il caffè, a mangiare in mensa, a trovare dei colleghi, a lavorare alla propria postazione, a svolgere attività sindacale. In alcuni casi al posto del badge è stato inserito, a chi utilizzi una divisa o un indumento fornito dall’azienda, un chip di questo tipo in un bottone o in un risvolto della divisa. Il tutto avviene quasi sempre all’insaputa dei lavoratori.
I DATI BIOMETRICI: ancora scarsa applicazione hanno invece i lettori di dati biometrici (impronte digitali, pupilla oculare) per consentire o vietare l’accesso a determinati locali aziendali. E’ comunque solo questione di tempo e anch’essi avranno uno sviluppo considerevole.

Questi (e forse anche altri ancora non noti) gli strumenti che possono determinare un controllo sui lavoratori. Come appare chiaro si tratta, almeno in potenza, di una quantità di dati spaventosa che possono essere usati in danno del lavoratore per indirizzarne la carriera, per deciderne le sorti, per discriminarlo, per danneggiarlo in molti modi. Tutte queste apparecchiature non potrebbero però essere installate senza un preventivo accordo con i rappresentanti sindacali per regolamentarne l’uso (in mancanza di rappresentanze sindacali o in mancanza di accordo la legge prevede che l’azienda debba rivolgersi all’Ispettorato del lavoro che deve dettare le regole per l’utilizzo): dice infatti la norma dell’art.4 S.L. che tal genere di apparecchiature, anche quando abbiano un utilizzo di natura organizzativa o di sicurezza aziendale, ma possano prestarsi anche ad un utilizzo di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installate solo previo accordo sindacale. In mancanza dell’accordo (o delle regole dettate dall’Ispettorato del lavoro) le apparecchiature solo in aperta violazione di legge.

Come s’è detto, la maggior parte delle apparecchiature in discussione sono invece state introdotte nelle aziende in totale assenza di accordo sindacale, il che consentirebbe ancor oggi di contestarne l’utilizzo.

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di controllo dei lavoratori
  1. In tema di videosorveglianza dei lavoratori, con riferimento al valore probatorio di registrazioni audiovisive legittime (in quanto volte a realizzare controlli difensivi da parte del datore di lavoro), il disconoscimento delle riproduzioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c., che fa perdere alle stesse la loro qualità di prova, pur non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all'art. 214 c.p.c., deve essere, oltre che tempestivo, chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendo concretizzarsi nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riproduttiva. (Cass. 28/1/2011 n. 2117, Pres. Miani Canevari Est. Napoletano, in Orient. giur. lav. 2011, 95)
  2. Costituisce strumento di controllo "preterintenzionale" a distanza dell'attività dei lavoratori, soggetto alla disciplina dell'art. 4, comma 2, l. 300/1970, un'apparecchiatura di rilevamento delle presenze attivata mediante tessere magnetica (badge), sicché, in caso di mancato esperimento della procedura di cui all'art. 4 c. 2 St. Lav., non sono utilizzabili in sede disciplinare i dati acquisiti tramite la stessa. (Trib. Napoli 29/9/2010, Giud. Vargas, con nota di Federico Fusco, "Il pomo della discordia: il badge come strumento di controllo a distanza?", 31)
  3. Non rientra nella fattispecie prevista dal secondo comma dell'art. 4 St. Lav., non potendosi qualificare come strumento di controllo a distanza, un'apparecchiatura di rilevamento delle presenze attivata mediante tessera magnetica (badge). (Trib. Napoli 29/9/2010, Giud. Vargas, con nota di Federico Fusco, "Il pomo della discordia: il badge come strumento di controllo a distanza?", 31)
  4. Sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoregistrazioni effettuate con telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, perché le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non fanno divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio. (Cass. Pen. 1/6/2010 n. 20722, Pres. Ambrosini Est. Rotella, in Lav. Nella giur. 2010, con commento di Enrico Barraco e Andrea Sitzia, 991)
  5. Ai fini dell'operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori previsto dall'art. 4 L. n. 300 del 1970 è necessario che il controllo riguardi (direttamente o indirettamente) l'attività lavorativa mentre devono ritenersi fuori dell'ambito di applicazione della norma sopra citata i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore. (Cass. Sez. V pen. 1/6/2010 n. 20722, Pres. Ambrosini, in Orient. giur. lav. 2010, con nota di Lorenzo Cairo, "L'ambito di applicazione dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori tra finalità difensiva e caratteristiche delle apparecchiature di controllo", 323)
  6. Gli artt. 4 e 38 dello Statuto dei Lavoratori implicano l'accordo sindacale a fini di riservatezza dei lavoratori nello svolgimento dell'attività lavorativa, ma non implicano il divieto dei c.d. controlli difensivi del patrimonio aziendale da azioni delittuose da chiunque provenienti. Pertanto in tal caso non si ravvisa inutilizzabilità ai sensi dell'art. 191 c.p.p. di prove di reato acquisite mediante riprese filmate, ancorché sia perciò imputato un lavoratore subordinato. (Cass. Sez. V pen. 1/6/2010 n. 20722, Pres. Ambrosini, in Orient. giur. lav. 2010, con nota di Lorenzo Cairo, "L'ambito di applicazione dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori tra finalità difensiva e caratteristiche delle apparecchiature di controllo", 323, e in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Patrizia Tullini, "Videosorveglianza a scopi difensivi e utilizzo delle prove di reato commesse dal dipendente", 85)
  7. I programmi informatici che consentono il monitoraggio della posta elettronica e degli accessi internet sono necessariamente apparecchiature di controllo nel momento in cu, in ragione delle loro caratteristiche, consentono al datore di lavoro di controllare a distanza e in via continuativa, durante la prestazione , l'attività lavorativa e se la stessa sia svolta in termini di diligenza e di corretto adempimento. Ne consegue che l'installazione di tali programmi è soggetta alla disciplina di cui all'art. 4, comma 2, L. 300/70. (Cass. 23/2/2010 n. 4375, Pres. Battimiello Est. Nobile, in Orient. giur. lav. 2010, , con nota di Benedetto Fratello, "Programmi informatici e controllo a distanza dell'attività dei lavoratori: il punto della Cassazione", e di Pasquale Picciariello, "I controlli a distanza: la negazione del tertium genus", 90, e in in Lav. nella giur. 2010, con commento di Pasquale Dui, 805)
  8. In tema di controllo del lavoratore, le garanzie procedurali imposte dall’art. 4, secondo comma, della L. n. 300 del 1970 (espressamente richiamato anche dall’art. 114 del D.Lgs. n. 196 del 2003 e non modificato dall’art. 4 della L. n. 547 del 1993, che ha introdotto il reato di cui all’art. 615 ter c.p.) per l’installazione di impianti ed apparecchiature di controllo richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, trovano applicazione anche ai controlli c.d. difensivi, ovverosia a quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela dei beni estranei al rapporto stesso, dovendo escludersi che l’insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti possa assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la sentenza impugnata, la quale aveva negato l’utilizzabilità a fini disciplinari dei dati acquisiti mediante programmi informatici che consentono il monitoraggio della posta elettronica e degli accessi a internet dei dipendenti, sul presupposto che gli stessi consentono al datore di lavoro di controllare a distanza e in via continuativa l’attività lavorativa durante la prestazione, e di accertare se la stessa sia svolta in termini di diligenza e corretto adempimento). (Cass. 23/2/2010 n. 4375, Pres. Battimiello Est. Nobile, in Lav. Nella giur. 2010, con commento di Enrico Barraco e Andrea Sitzia, 992)
  9. Il datore di lavoro presso il quale è avviato un invalido per l'assunzione, ai sensi della legge n. 482/1968, pur non essendo obbligato a riorganizzare i mezzi di produzione per consentire tale assunzione, è tuttavia tenuto a ricercare all'interno dell'azienda mansioni compatibili con le condizioni sanitarie del lavoratore. A questo fine deve, se necessario, procedere a redistribuire gli incarichi tra i lavoratori già in servizio. In tale operazione, l'esigenza di osservare l'art. 11, legge n. 482/1968, può integrare una delle "ragioni organizzative" che permettono il trasferimento di lavoratori già in organico a un'altra unità produttiva, ma non può comportare l'assegnazione di un lavoratore già in servizio a mansioni superiori che egli non sia capace di espletare. Ne consegue che occorre accertare se vi siano in azienda mansioni "concretamente disponibili" per le quali il lavoratore avviato sia idoneo, e solo se tale concreta disponibilità sia impossibile l'azienda può rifiutare l'assunzione. (Cass. 13/11/2009 n. 24091, Pres. Battimiello Rel. La Terza, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2010, con nota di Liliana Tessaroli, "Assunzioni obbligatorie e mansioni concretamente disponibili nell'organico aziendale", 269)
  10. La falsa attestazione del pubblico dipendente (anche se di fatto svolge mansioni da dirigente), circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta idonea oggettivamente a integrare il reato di truffa aggravata perché induce in errore l'amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro; non è importante, ai fini di una condanna, che il funzionario lavori altrove ma è sufficiente che questo abbia indotto in errore l'ente locale, infatti, "la contestazione non ha per oggetto lo svolgimento di un'attività parallela a quello di pubblico dipendente, ma il fatto di far apparire di essere al lavoro (avendo firmato il registro delle presenze o timbrato il cartellino) mentre in realtà si trovava altrove. I funzionari pubblici devono rispettare l'orario di lavoro e la violazione dei loro doveri può essere accertata anche mediante il pedinamento da parte di un investigatore privato. In presenza di fatti illeciti commessi dal lavoratore (nella specie, si procedeva per l'ipotesi di truffa aggravata commessa da pubblico dipendente in danno dell'amministrazione di appartenenza) nessuna limitazione può sussistere per l'attività di accertamento della polizia giudiziaria ex art. 55 c.p.p., né possono opporsi le limitazioni contenute negli articoli 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori, le quali riguardano solo il datore di lavoro e sono operative all'interno del rapporto lavorativo, laddove si vuole tutelare il soggetto debole da eventuali abusi nell'attività di vigilanza e sorveglianza. (Cass. pen. Sez. II 2/12/2008 n. 44912, Pres. Bardovagni Rel. Iasillo, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Marianna Pulice, 259, e in Lav. nelle P.A. 2008, 1149)
  11. E' legittimo il licenziamento per giusta causa operato da parte del datore di lavoro utilizzando, nell'ambito di una regolare procedura disciplinare, le evidenze probatorie acquisite dalla Procura della Repubblica che, nel corso di un'indagine penale, aveva installato alcune telecamere nei corridoi e nei servizi igienici della società, senza il rispetto dell'art. 4 SL, che non trova applicazione nei confronti dell'Autorità Giudiziaria. (Trib. Milano 1/2/2008, Est. Peragallo, in D&L 2008, con nota di Angelo Beretta, "Controllo a distanza e utilizzabilità in sede di procedimento penale", 509)
  12. Il divieto di controllo a distanza posto dall'art.4 St. Lav. è assoluto, sicchè sono del tutto inutilizzabili a fini disciplinari i dati risultanti da un'apparecchiatura che di fatto consenta il controllo dell'osservanza dell'orario di lavoro da parte dei lavoratori e che sia stata installata in assenza di accordo con le RSA. Ne consgue l'illegittimità del licenziamento che risulti fondato sui dati risultanti da tale attività di controllo a distanza. (Cass. 17/7/2007 n. 15892, Pres. senese Rel. Stile, in Lav. e prev. oggi 2007, con nota di Daniela Merolla, 1678, e in D&L 2007, con nota di Renato Scorcelli, "Ancora in tema di controlli a distanza ai sensi dell'art. 4 SL sui limiti di liceità dei cd controlli difensivi", 1202, e in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Vallauri, "E' davvero incontenibile la forza espansiva dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori?", 714)
  13. L'obbligo di pubblicità dei nominativi e delle specifiche mansioni del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa previsto dall'art. 3 SL, è estraneo allo svolgimento di controlli da parte del datore di lavoro o dei superiori gerarchici, normalmente rientranti nei poteri dell'imprenditore ex art. 2104 c.c. e da costoro legittimamente esercitabili anche in forma occulta. La normativa statutaria non esclude, tuttavia, la possibilità di controlli occulti da parte del datore di lavoro mediante soggetti estranei all'organizzazione aziendale con riferimento a condotte penalmente rilevanti o comunque illecite che, come tali, esulano dall'attività lavorativa in senso stretto; al di fuori di suddetti limiti, la vigilanza sull'attività esterna dei dipendenti disposta dal datore di lavoro per il tramite di private agenzie investigative viola gli artt. 2 e 3 SL: i risultati dei suddetti controlli sono inutilizzabili ai fini del procedimento disciplinare ed è, pertanto, illegittimo il licenziamento disposto sulla base dei relativi addebiti. (Trib. Firenze 29/11/2003, Est. Lococo, in D&L 2004, 357, con nota di Lisa Giometti, "L'esercizio del potere di controllo mediante azioni investigative")
  14. Le norme di cui agli artt. 2 e 3, l. 20/5/70, n. 300, che garantiscono la libertà e la dignità del lavoratore, non escludono il potere dell'imprenditore di controllare, direttamente o mediante la propria organizzazione - adibendo, quindi, a mansioni di vigilanza determinate categorie di prestatori d'opera, anche se privi di licenza prefettizia di guardia giurata, ai fini della tutela del proprio patrimonio mobiliare ed immobiliare, all'interno dell'azienda (indifferentemente, in ambienti chiusi o in aree all'aperto) - non già l'uso, da parte dei dipendenti, della diligenza richiesta nell'adempimento delle obbligazioni contrattuali, bensì il corretto adempimento delle prestazioni lavorative al fine di accertare mancanze specifiche dei dipendenti già commesse o il corso di esecuzione. Ciò senza che tale potere subisca deroghe in relazione alla normativa in materia di pubblica sicurezza ed indipendentemente dalla modalità del controllo, che può legittimamente avvenire anche occultamente, non ostandovi né il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione dei rapporti, né il divieto di cui all'art. 4 della citata l. n. 300/70, che riguarda esclusivamente l'uso di apparecchiature per il controllo a distanza e non è applicabile analogicamente, siccome penalmente sanzionato. (In base ai suddetti principi la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto legittimi i controlli effettuati da una banca tramite alcuni clienti appositamente contattati, diretti a verificare la regolarità del comportamento di una cassiera). (Cass. 14/7/01, n. 9576, pres. Ianniruberto, est. Stile, in Lavoro giur. 2002, pag. 237, con nota di Girardi, Controlli del datore di lavoro sui propri dipendenti)
  15. Il ricorso da parte del datore di lavoro a riprese con telecamera a circuito chiuso, finalizzate a controllare a distanza l’attività dei lavoratori, contrasta (nel caso non siano state seguite le garanzie procedurali per la loro installazione per motivi di sicurezza) con l’articolo 4 L. n. 300/70, la cui violazione è penalmente sanzionata dall’articolo 38 stessa legge, che fa parte di quella normativa diretta a contenere in vario modo le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro che, per le modalità di attuazione incidenti sulla sfera della persona, si ritengono lesive della dignità e riservatezza della persona. Ne consegue, sul piano processuale, che nessun valore probatorio può attribuirsi ai fotogrammi così illegittimamente conseguiti (anche se nel caso evidenzianti il reato di furto per sottrazione di denaro in cassa) (Cass. 17/7/00, n. 8250, pres. Ianniruberto, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 1694 e in Orient. giur. lav. 2000, pag. 613)
  16. L'accertamento, a mezzo di investigatori privati, di altra attività in costanza dello stato patologico dichiarato è illegittimo solo in ordine alle modalità di espletamento di detta attività. (Trib. Nocera Inferiore 26/5/00, pres Russo, est. Fortunato, in Lavoro giur. 2000, pag. 1159, con nota di Buonaiuto, Il licenziamento disciplinare per attività lavorativa durante la malattia)
  17. Dall’esame dell’art. 2, comma 2, l. n. 300/70, secondo cui al datore di lavoro è vietato adibire le guardie particolari giurate alla vigilanza dell’attività lavorativa e a queste ultime di accedere ai locali ove la stessa si svolge, si desume che il divieto di controllo (da parte di personale avente compiti di mera vigilanza) sul modo della prestazione d’opera attiene a quella resa all’interno dell’azienda. Non essendo disposto alcunché per la verifica dell’attività svolta, al di fuori dei locali aziendali, da parte di lavoratori non inseriti nel normale ciclo produttivo - la cui prestazione non può essere verificata con l’esercizio di poteri di direzione, controllo tecnico e sorveglianza - ne discende che il controllo, ad opera di investigatori privati, sul comportamento tenuto dai lavoratori fuori dei locali aziendali non contrasta con l’articolo 2 Statuto dei Lavoratori ed è legittimo tanto più quando non è finalizzato a verificare la diligenza dell’adempimento della prestazione ma comportamenti che possono integrare gli estremi di reato (nel caso, di truffa, lucrando la retribuzione oziando, in luogo di lavorare). E’ legittimo il controllo in questione, anche se commissionato a privata agenzia investigativa da società distaccataria nei confronti di lavoratori distaccati da società incorporante, in ragione di principi sanciti dall’articolo 2504-bis, c.c., secondo cui la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte (Cass. 5/5/00, n. 5629, pres. Trezza, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag.1684, con nota di Meucci, Sorveglianza di lavoratori, con mansioni esterne, a mezzo di investigatori privati)


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1 commento:

  1. Ogni controllo sul lavoratore è vietato, a meno che non siano comprovate specifiche esigenze di carattere produttivo

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