Shadowbox Effect
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                                                         La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie.
                                                        John Maynard Keynes
 
                              

Ricapitalizzazione a copertura delle perdite

Unknown | 12:04 | 1 commenti


di Raffaele Marcello*
(*) Docente di Economia dei Gruppi e delle Concentrazioni Aziendali nell’Università G. d’Annunzio, Chieti - Pescara. Componente del direttivo dell’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
Nel caso di perdite di esercizio, le norme che disciplinano la loro copertura si rinvengono negli artt. 2446 e 2447 (2482-bis e 2482-ter per le S.r.l.) del codice civile. I comportamenti da intraprendere risultano diversi a seconda dell’entità delle stesse e le differenti soluzioni sono dettate dalle esigenze di tutela non solo dei soci, in considerazione della molteplicità degli interessi coinvolti. Obiettivo di questo contributo è quello di analizzare l’iter da seguire in presenza di perdite civilistiche che superano determinati livelli del capitale sociale.
1. Premessa
Nel corso della vita aziendale, il manifestarsi di perdite di esercizio, determinate da eventi interni ed esterni che alterano la condizione di equilibrio economico dell’impresa, è un fenomeno abbastanza frequente, soprattutto in periodi di crisi.
Queste situazioni richiedono, ovviamente, l’adozione di adeguati provvedimenti, espressamente disciplinati dagli artt. 2446 e 2447 (2482-bis e 2482-ter per le S.r.l.) del codice civile, diretti a riportare la gestione in una posizione di stabilità e che si inseriscono, in effetti, nel contesto volto a regolamentare la riduzione del capitale sociale.
Prima di procedere all’esame delle singole fattispecie si rende necessario precisare che la circostanza che una perdita risulti inferiore a un terzo del capitale sociale non è considerata dal legislatore patologica, sicché non è prescritto alcun adempimento a carico dell’organo amministrativo.
Come vero è che le disposizioni riferite alle ipotesi di perdite superiori a un terzo del capitale (che non intacchino il minimo legale richiesto per il tipo societario) richiedono interventi per lo più dichiarativi che non si sostanziano in provvedimenti obbligatori di ripristino della situazione precedente.
Ben più grave, invece, è il presupposto di rilevazione di una perdita che riduce il capitale della società al di sotto del minimo legale (pari a euro 120.000 per le S.p.a. e euro 10.000 per le S.r.l. come stabilito rispettivamente negli artt. 2327 e 2463 del codice civile).
2. Le perdite superiori a un terzo
Nello specifico, l’art. 2446 (art. 2482-bis per le S.r.l.) del codice civile richiede l’intervento dei soci entro l’esercizio successivo, qualora la perdita riduca di oltre un terzo il valore del capitale della società. In tale circostanza, infatti, una
volta constatata la riduzione gli amministratori, o il consiglio di gestione (nel cosiddetto sistema “dualistico”), o nel caso di loro inerzia il collegio sindacale (ovvero il comitato per il controllo sulla gestione), devono convocare con urgenza l’assemblea, cui viene presentata una situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale (o del comitato sul controllo di gestione).
L’ultimo bilancio d’esercizio può sostituire la situazione redatta ad hoc, purché sia aggiornato, ed in tal caso non occorre il deposito prima della riunione presso la sede sociale.
Per le società a responsabilità limitata, in questi casi, è possibile che l’atto costitutivo preveda la possibilità di fornire notizie ed informazioni ai soci secondo modalità diverse da quelle sopra indicate.
Per molto tempo, in dottrina, affrontando il tema delle perdite, si è dibattuto sull’interpretazione del termine “capitale” poiché l’espressione adottata dal legislatore è senza dubbio molto generica, e il termine stesso può essere oggetto di
molteplici configurazioni (capitale sottoscritto, capitale versato, o anche patrimonio netto).
Comunque il capitale cui parametrare la perdita è il capitale nominale ossia quello sottoscritto e non quello effettivamente versato. Occorre altresì stabilire la relazione esistente tra perdite e capitale per procedere all’individuazione dell’ammontare della perdita che ha ridotto il capitale oltre la misura consentita.
Alla luce di una serie di sentenze della Cassazione è opportuno chiarire che la perdita di oltre un terzo del capitale si verifica quando le perdite accumulate dalla società, risultanti dalle voci VIII “Utili (perdite) portati a nuovo” e IX “Utile (perdita) dell’esercizio” della classe A) Patrimonio netto, del passivo dello Stato patrimoniale, al netto delle Riserve di cui alle voci da II a VII della medesima classe superano un terzo del capitale.
In altre parole, ciò significa che il valore del patrimonio netto che ha come componenti positivi il capitale sociale e le riserve e come componenti negativi le perdite dei vari esercizi, deve risultare inferiore ai due terzi del capitale sociale. La perdita
deve essere al netto anche degli utili di periodo, che sono quelli manifestatisi dopo la chiusura del bilancio, purché siano risultanti da documento contabile formato come bilancio di esercizio.
Un altro elemento di rilievo è, senz’altro, rappresentato dall’individuazione del momento dal quale scatta l’obbligo di convocazione dell’assemblea.
In argomento, non emergono in dottrina posizioni univoche, posto che l’onere incombe nell’istante in cui l’organo amministrativo accerta la gravità della perdita, o si trova davanti a una situazione che ritiene irreversibile e che presume non possa migliorare. Per cui, pare opportuno attendere la conclusione dell’esercizio onde dichiarare incontrovertibile una situazione di fatto. A titolo esemplificativo, si pensi alle imprese la cui attività è a carattere stagionale.
Il carattere di urgenza, evidenziato dalla locuzione “senza indugio”, è stato da sempre interpretato, con una certa plasticità, in quanto nel disposto dell’art. 2446 (art. 2482-bis per le S.r.l.) del codice civile, mancano precise indicazioni al riguardo. E quindi i termini “perentori” entro i quali il consiglio di amministrazione (o il consiglio di gestione) devono convocare l’assemblea, vanno ricercati nell’art. 2631 del codice civile, vale a dire trenta giorni dal momento in cui gli amministratori o i sindaci sono venuti a conoscenza di fatti che richiedono la convocazione dell’assemblea, salvo
diverse indicazioni stabilite per legge o riportate nello statuto. Ciò non toglie che tale urgenza, in particolari circostanze, debba essere comunque intesa in senso ragionevole, ovvero in funzione del tempo necessario per la predisposizione dei documenti da offrire al vaglio dei soci. Comunque è opportuno qui avvalorare che la tardività nella convocazione non inficia la validità delle relative deliberazioni.
Come detto, l’obbligo di convocare l’assemblea è imposto agli amministratori (o ai membri del consiglio di gestione) e, nel caso di loro inerzia, al collegio sindacale (ovvero al consiglio di sorveglianza).
Nel modello monistico l’obbligo è a carico di tutti gli amministratori, ivi compresi quelli che costituiscono il comitato per il controllo interno sulla gestione.
Qualora l’organo amministrativo non vi provveda, il collegio sindacale, anche su istanza, ove presente, dell’organo di revisione legale che prenda atto della situazione, dovrà sollecitare l’organo amministrativo alla convocazione.
Nel caso in cui l’organo amministrativo non adempia, i sindaci dovranno provvedere essi stessi alla convocazione avvalendosi dei poteri sostitutivi concessi all’organo di controllo dall’art. 2406 del codice civile.
L’eventuale delibera di riduzione è di competenza dell’assemblea (straordinaria) che decide con la maggioranza calcolata secondo le regole comuni, non essendo richiesta la volontà unanime di tutti i soci.
Un ultimo punto da considerare è correlato alla data della situazione patrimoniale da predisporre. Il requisito dell’aggiornamento dei “dati contabili”, rispetto al momento della riunione, è desunto dalle esigenze di convocare l’assemblea con sollecitudine e della riduzione in proporzione delle perdite accertate. Tuttavia la giurisprudenza di
legittimità ha ripetutamente affermato che la situazione contabile debba essere riferita ad una data non anteriore di oltre 120 giorni dall’assemblea dei soci convocata per l’approvazione del progetto di ripianamento delle perdite.
L’assemblea, che a questo punto dispone sia di una situazione patrimoniale della società, sia di ogni significativa recente notizia sull’andamento economico della gestione, è così chiamata a adottare gli opportuni provvedimenti, fra cui:
a) arrivare all’immediata riduzione del capitale, adeguando la relativa cifra all’attuale valore in dipendenza della perdita mediante una delibera assembleare redatta da un notaio, poiché è richiesta una modificazione dello statuto;
b) eliminare la perdita con operazioni di ripianamento da parte dei soci (mediante accollo della perdita, remissione dei crediti, versamenti a fondo perduto);
c) procedere a una riduzione solo parziale delle perdite che consenta ridurre la stessa a meno di un terzo;
d) limitarsi ad un semplice rinvio a nuovo delle perdite qualora si ritiene che vi siano i presupposti per una copertura della medesima mediante utili che matureranno nell’esercizio successivo. In caso contrario l’assemblea dei
soci è tenuta a deliberare una riduzione del capitale pari all’importo dell’eccedenza della perdita oltre il terzo consentito. 
In caso di inerzia dell’assemblea, il consiglio di amministrazione o i sindaci (ovvero il consiglio di sorveglianza) devono fare richiesta di intervento al Tribunale, che provvederà alla riduzione del capitale mediante decreto che deve essere iscritto nel registro delle imprese.
3. La riduzione del capitale al di sotto del minimo legale
Ancor più particolare si presenta la situazione in cui la perdita di oltre un terzo del capitale della società intacchi il limite minimo legale.
Infatti, ai sensi dell’art. 2447 (art. 2482-ter per le S.r.l.) del codice civile, in tale circostanza, risulta necessaria la convocazione dell’assemblea, nei medesimi termini previsti nel caso di convocazione di cui al precedente art. 2446 (art. 2482-bis per le S.r.l.) del codice civile.
Al riguardo, nel caso di ingiustificato ritardo nell’adempimento, si ritiene che il mancato richiamo codicistico al collegio sindacale, in caso di inerzia degli amministratori, sia dovuto meramente ad una “svista” legislativa.
L’assemblea, pertanto, non ha scelta in ordine agli opportuni provvedimenti da adottare e vincolativamente, dovrà deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore a detto minimo. In mancanza la società si scioglie, salvo che i soci ne deliberino la trasformazione ad altro tipo.
Ad ogni modo, come si è accennato, la competenza a deliberare spetta all’assemblea straordinaria per la società per azioni, ed all’assemblea qualificata per le società a responsabilità limitata, in quanto tali provvedimenti comportano modifiche dello statuto.
Doveri degli organi sociali in caso di riduzione del capitale sociale per perdite
Amministratori– Convocare senza indugio l’assemblea.
– Presentare all’assemblea una relazione sulla situazione patrimoniale della
   società e sulle ragioni della perdita.

Assemblea– In caso di riduzione del capitale di oltre un terzo scegliere se:
   1) coprire le perdite con conferimenti dei soci;
   2) ridurre il capitale sociale;
   3) deliberare la moratoria annuale.
   Decorso l’anno di moratoria, se le perdite non si siano ridotte di almeno
   un terzo, coprire le perdite con:
   1) riduzione del capitale per l’importo delle perdite;
   2) ricapitalizzazione della società.
– In caso di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale scegliere se:
   1) coprire le perdite con conferimenti dei soci;
   2) provvedere a deliberare la liquidazione della società;
   3) procedere ad una trasformazione regressiva della società.

Sindaci– Disporre, in caso di inerzia degli amministratori, la convocazione assembleare.
– Sottoporre all’assemblea specifiche osservazioni in merito alla relazione
   degli amministratori.
– Controllare che l’ordine del giorno dell’assemblea richiami i provvedimenti
   di cui all’art. 2446 del codice civile (art. 2482-bis nelle S.r.l.).
– Valutare la data di aggiornamento della situazione patrimoniale.
– Verificare che nelle S.p.a. venga rispettato il diritto di opzione a favore
   dei soci ex art. 2441, comma 2, del codice civile e, nelle S.r.l., che a tutti i
   soci venga consentito di esercitare il diritto di sottoscrizione e cioè di
   partecipare al ripianamento delle perdite in relazione alla partecipazione
   originariamente sottoscritta ex art. 2482-quater del codice civile.
4. I possibili rimedi
Alla luce di quanto eccepito fino ad ora, è evidente come tra le varie ipotesi di risoluzione della questione, vi sia anche quella che prevede l’intervento diretto dei soci a reintegro delle perdite conseguite.
A questo proposito, è possibile interporsi con “versamenti in conto capitale”, “versamenti a copertura delle perdite” ovvero “rinuncia del credito di finanziamento maturato nei riguardi della società”.
Nella prima circostanza, siamo in presenza di versamenti che possono essere fatti anche in corso di anno, nel caso in cui i soci non volessero procedere a un formale aumento del capitale sociale. Inoltre, sono questi dei versamenti da cui non sorge alcun obbligo alla restituzione da parte della società, per quanto, se ciò dovesse avvenire, non occorrerebbe procedere seguendo il percorso legislativo previsto nel caso di riduzione volontaria del capitale sociale. Si configura così, in senso tecnico, un “versamento a fondo perduto” che può reputarsi una tipologia di intervento più flessibile rispetto al reale
aumento di capitale sociale, la cui collocazione “bilancistica”, secondo l’Oic n. 28, è tra le poste del netto alla voce VII) Altre riserve, trattandosi di una vera e propria riserva di capitale. I “versamenti in conto capitale” e, più in generale, gli apporti che i soci si impegnano ad effettuare nei confronti della società, sul piano formale, non sono computabili nel capitale nominale per difetto del provvedimento di aumento di esso e della sua formale sottoscrizione; sul piano economico, tuttavia, tali “contributi” vengono, come già asserito, computati fra le riserve del patrimonio, in attesa della loro convenzionale destinazione a incremento del capitale sociale.
Nel caso di “versamenti a copertura delle perdite”, ci si riferisce a erogazioni specificamente effettuate per ripianare il deficit di esercizio e per le quali non è previsto l’obbligo di restituzione, in quanto la loro assimilabilità ai conferimenti comporta, almeno ad una prima analisi, un vincolo di indisponibilità sulle somme stesse.
Ne deriva un’ulteriore precisazione riferita alla finalità sottesa a questo tipo di apporto: il termine eventualmente fissato per la restituzione delle somme versate si riferisce al momento entro il quale si deve verificare la perdita, piuttosto che a quello nel quale la società utilizza le somme a copertura delle stesse, con conseguente azzeramento della “specifica” riserva.
Registrata la perdita, infatti, le somme sono definitivamente attratte al patrimonio della società e non possono in nessun caso essere restituite ai soci.
Più difficile appare la soluzione nel caso in cui non sia stato fissato un termine o lo stesso sia già scaduto senza che la perdita si sia verificata. In tale occasione si ritiene che il socio possa in ogni momento richiedere la restituzione delle somme apportate senza la necessità di un’apposita delibera assembleare che lo disponga. L’eventuale perdurare della permanenza di tali versamenti tra i fondi della società li rende qualificabili come finanziamenti che ricorrendone le
condizioni potrebbero essere assoggettati alla disciplina di cui all’art. 2467 del codice civile.
In contingenza, infine, di “rinuncia al credito di finanziamento” vantato dai soci nei confronti della società, la posta di “debito” iscritta tra le passività diventa parte del netto, incrementando il valore dello stesso e sulla base del quale
viene stabilito il superamento o meno del terzo del capitale della società. Il principio contabile Oic n. 28, in proposito, si esprime sottolineando la necessità che risulti un’esplicita e preventiva rinuncia dei soci al credito e alla sua restituzione,
affinché si possa avere la trasformazione di detto credito dei soci in “apporto”, sotto forma di riserva di capitale.
Gli apporti finanziari dei soci
TIPOLOGIACARATTERISTICHECOLLOCAZIONE IN BILANCIO

Versamenti
in conto capitale
Non è previsto il rimborso se non nei
casi di scioglimento della società
Macroclasse A del Patrimonio
netto - A.VII - Altre riserve

Versamenti
a copertura perdite

Somme destinate a uno specifico
scopo: il conferimento viene effettuato,
di norma, dopo che si sia manifestata
una perdita
Macroclasse A del Patrimonio
netto - A.VII - Altre riserve
Rinuncia ai versamenti a
titolo di finanziamento
L’eventuale passaggio a capitale
necessita della preventiva rinuncia al
diritto di restituzione: trasformando
così il finanziamento in apporto
Macroclasse A del Patrimonio
netto - A.VII - Altre riserve

Merita sul ragionamento offrire un’ulteriore precisazione in ordine alle possibilità di utilizzo, come rimedio, di altre due poste di conferimento effettuate a titolo di dotazioni patrimoniali: i “versamenti in conto futuro aumento di capitale” e i “versamenti in conto aumento di capitale”.
Secondo gli orientamenti di prassi i “primi” non possono essere destinati allo scopo che qui interessa (cioè per ripianare le perdite) né possono essere iscritti a patrimonio netto. Tale impossibilità parrebbe dover condurre alla conclusione che essi debbano essere appostati al passivo (voce D3 o D14, a seconda del soggetto che effettua il versamento), stante l’obbligo di restituzione.
Diversamente accade per quelli “in conto aumento”, poiché l’incremento del capitale non può essere menzionato negli atti della società fino a quando non sia avvenuta la richiamata iscrizione, pertanto i versamenti già effettuati dai soci verranno
rilevati in una voce transitoria accesa ad una riserva di capitale, che sarà successivamente imputata al capitale sociale, una volta perfezionata l’intera operazione. Ovviamente, essendo i versamenti destinati a uno scopo ben preciso, se la procedura di aumento non giunge a perfezionamento secondo i dettami di legge, i soci ne hanno diritto alla restituzione.
Può anche accadere che la perdita “provvisoria” venga ripianata durante il corso dell’esercizio. Cosicché, almeno formalmente, si perde la coincidenza tra l’importo della voce di conto economico e quella del patrimonio netto. In tali situazioni, per il principio del “true and fair view”, è opportuno procedere ad una esplicita ricostruzione delle variazioni intervenute, aggiungendo una voce specifica nei prospetti di bilancio (non solo nella Nota integrativa ma anche nel passivo
tra le poste ideali del netto).
In merito poi alla procedura di copertura di detta perdita, essendo questa infrannuale e, quindi, potendo il suo ammontare variare (in più o in meno), dovrà avvenire mediante l’utilizzo di un “conto transitorio”, conto altrimenti denominato “fondo per perdita provvisoria” che verrà, successivamente, spento per ridurre e/o coprire la perdita relativa all’intero esercizio.
L’assemblea che approverà il bilancio disporrà la copertura della perdita, a mezzo dell’utilizzo del “fondo” appositamente creato in corso dell’esercizio.
Qualora, invece, la perdita definitiva, riferita all’intero esercizio, fosse inferiore al fondo costituito in corso d’anno, la quota eccedente di quest’ultimo andrà a costituire una riserva disponibile.
In una prospettiva “speculare” va analizzata la possibilità di utilizzare, ai fini della copertura delle perdite, gli utili in corso di formazione nell’esercizio (o utili di periodo). L’opportunità si basa sull’assunto che gli utili di periodo abbiano natura “reale” e non “virtuale”.
6. Conclusioni
Corre invece, in conclusione, l’obbligo di richiamare ulteriormente la vexata quaestio in ordine alla possibilità di eludere il precetto di cui agli artt. 2446 e 2447 (2482-bis e 2482-ter per le S.r.l.) del codice civile mediante versamenti in contanti o rinuncia ai crediti.
L’orientamento dottrinale e giurisprudenziale assolutamente prevalente ritiene che i versamenti effettuati “spontaneamente” dai soci a copertura perdite possano far venir meno la necessità di ricorso ai richiamati procedimenti codicistici, rimuovendone prodromicamente il presupposto, così confermando la liceità del “ripianamento” senza operare sul capitale e anche senza l’intervento dell’assemblea (straordinaria).
In questa congiuntura, una volta accolto il principio della loro ammissibilità, si determina l’ulteriore problema di verificare con quali modalità la società debba operare. La possibilità di ripianamento è ammissibile in tutti i casi di perdite sul capitale, sia di riduzione facoltativa che obbligatoria.
C’è, invece, chi sostiene che tale possibilità è sicuramente applicabile alla prima delle due ipotesi previste dall’art. 2446 (2482-bis per le S.r.l.) del codice civile, e cioè a quella di riduzione del capitale di oltre un terzo. Qualora invece la riduzione
sia rinviata e sia trascorso l’esercizio successivo senza che la perdita si sia ridotta a meno di un terzo ovvero nel caso di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, è inderogabile la formale operazione sul capitale sociale.
Tale orientamento trova fondamento sull’argomento che, nei casi di riduzione obbligatoria, la legge proteggerebbe non solo gli interessi dei soci alla ripartizione degli utili ma anche l’interesse dei creditori a conoscere l’esatta misura minima della garanzia.

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